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Il cioccolato: storie di una passione

  • 2 Marzo 2020
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  • redazione Grom
immagine di cacao e cioccolato

Il cioccolato è, senza dubbio, uno degli ingredienti più amati. I pasticceri di tutto il mondo si mettono continuamente alla prova, scoprendo tecniche nuove con cui lavorarlo, ma quali sono le sue origini? Come è arrivato sulle nostre tavole? Per fare chiarezza abbiamo intervistato Antonella Campanini, docente di Storia dell’alimentazione all’Università di Scienze Gastronomiche.

L’arrivo in Europa

La parola cioccolato, o cioccolata, comprende ed evoca molte cose differenti, tutte a base di cacao e tutte deliziose. La sua storia, in Europa, ha inizio al momento dell’approdo dei prodotti d’Oltreoceano prima in Spagna, poi nel resto del Continente. E, come altri prodotti americani traghettati da Colombo prima e dagli altri conquistatori più tardi, il suo uso non si diffonde nell’immediato né secondo le ricette della sua terra d’origine. Partiamo dall’inizio.

 

Le origini

Si ritiene che la pianta del cacao abbia origine nell’America Centrale e che fosse coltivata e apprezzata a partire da almeno mille anni prima di Cristo, quando gli Olmechi popolavano le zone caldo-umide della costa del golfo. L’uso è appreso poi dai Maya, dai quali Colombo ha occasione di scoprirlo, quindi dagli Aztechi, considerati a lungo (falsamente) i primi utilizzatori della pianta. Che di Aztechi o di Maya si tratti, in ogni caso la tecnica di preparazione della bevanda a base di cacao è la medesima: polverizzare i semi di cacao, versarli in una sorta di bacinella e aggiungere acqua, mescolando costantemente. Quando il liquido è amalgamato, travasare in un’altra bacinella in modo da produrre schiuma: sarà quest’ultima a costituire la pregiata bevanda.

 

Il gusto occidentale

Questo modo di preparare e servire il cacao, tuttavia, non è incondizionatamente accettato e apprezzato in Occidente. A Girolamo Benzoni, autore nel 1575 della Storia del Nuovo Mondo, non dispiace del tutto, nonostante ne consideri il colore più adatto all’alimentazione dei porci che a quella degli esseri umani; Gonzalo Fernandez de Oviedo, che in Nicaragua osserva che tinge le labbra come il sangue, sembra meno convinto. A poco a poco, tuttavia, la bevanda al cacao fa breccia negli usi degli Spagnoli residenti Oltreoceano, a condizione però di adattarla ai loro gusti. Diviene così calda, zuccherata e aromatizzata con cannella, semi d’anice e pepe nero.

 

L’approdo in Italia

Da lì alla sua comparsa sulle tavole europee il passo è brevissimo. Non sappiamo se sia arrivata in Italia dalla Spagna, dal Portogallo o in altro modo ma, tutto sommato, poco importa. Quello che è interessante è che vi giunge già nel XVI secolo. Un’ipotesi la vorrebbe portata dal fiorentino Francesco Carletti, viaggiatore e uomo d’affari, che la menziona nella relazione che indirizza al granduca Ferdinando de’ Medici nel 1606, al ritorno dal Guatemala. Molti studiosi la ritengono tuttavia già presente in precedenza, probabilmente in Piemonte. Il caso resta aperto.

 

Dal caldo al freddo

Molto rapidamente, oltre che come bevanda calda, il cioccolato avrebbe avuto successo anche in forma di sorbetto. Nel trattato dedicato da Antonio Latini a “varie sorti di sorbette, o d’acque agghiacciate”, pubblicato nel 1694 nel secondo volume del suo Scalco alla moderna, troviamo tra le altre una ricetta “Per fare ventiquattro giare di cioccolata”. Già alla fine del XVII secolo il cioccolato ha assunto dunque anche la forma fredda.

 

Un intero trattato insegna a prepararlo

Esattamente cent’anni più tardi, nel 1794, esce la seconda edizione della Manovra della cioccolata e del caffè di Vincenzo Corrado. Si tratta probabilmente del trattato più completo per apprendere come realizzare e utilizzare nel migliore dei modi quel “sodo pastume nerastro, composto di cacao e di zucchero e condito con droga. Con un tal pastume si fanno gustosissime pozioni calde e congelate, oltre all’uso in tante diverse cose”. In quindici capitoli, Corrado passa in rassegna con grande competenza le tipologie di cacao, lo zucchero e le droghe utilizzate – prime tra tutte la vaniglia e la cannella – e le tecniche introdotte per la preparazione di delizie calde e fredde.

 

Tanto cioccolato nell’Artusi

Appare chiaro che, quando Corrado scrive, il cioccolato ha già raggiunto la piena diffusione. A poco a poco, a partire da questo periodo, fa il suo ingresso anche nei libri di ricette e l’utilizzo culinario si affianca così agli altri, ormai “classici”. Pellegrino Artusi, nella Scienza in cucina (1891), lo introduce come ingrediente nel cinghiale “dolce-forte” e, ovviamente, in vari dolci: biscotti, torte, budini, pasticcini e così via. Dedica inoltre alla cioccolata calda una ricetta specifica e ne approfitta per esaltarne le virtù: “Come alimento nervoso eccita anch’essa l’intelligenza ed aumenta la sensibilità; ma […] è molto nutritiva, esercita un’azione afro­disiaca e non è di tanto facile digestione, perciò si usa aro­matizzarla con cannella o vainiglia”. Esattamente come consigliava Vincenzo Corrado un secolo prima.

 

Bevanda piemontese?

Oggi il cioccolato piemontese, nelle sue tante declinazioni, fa molto parlare di sé. I trattati sin qui menzionati con il Piemonte nello specifico non hanno nulla a che fare ma, per trovare una testimonianza nel passato, ci viene incontro un libro di ricette molto particolare. S’intitola Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, è stampato per la prima volta a Torino nel 1766 e conosce un grande successo. L’anonimo autore trae quasi tutta l’ampia materia culinaria da un ricettario francese uscito vent’anni prima, adattandola ai prodotti e ai gusti del Piemonte del tempo. Tra le pochissime ricette originali, non presenti nel trattato francese, ne figura una dedicata alla “Bevanda di cioccolato”, che il cuoco piemontese prepara con l’acqua e, in una variante, con il latte. Non si tratta di una ricetta “tipica”, ma resta il fatto che questo cuoco piemontese deve aver ritenuto il cioccolato indispensabile coronamento del suo ricettario.

 

Antonella Campanini - autrice de Il cioccolato: storie di una passione

ANTONELLA CAMPANINI 

ricercatore in Storia medievale presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, dove insegna “Storia dell’alimentazione dalla Preistoria al Medioevo” e “Storia dei prodotti tipici”.

Membro del Conseil Scientifique dell’Institut Européen d’Histoire et des Cultures de l’Alimentation, ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Tra le più recenti, “Food Cultures in Medieval Europe (Bruxelles, P.I.E. Peter Lang) e “Il cibo. Nascita e storia di un patrimonio culturale” (Roma, Carocci).

 

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